Comunicare nell’era del fake, dell’analfabetismo funzionale e del cyberbullismo.
Ho continuato a procrastinare la scrittura di questo articolo perché il tema è così profondo e ampio che non trovavo, dentro di me, l’approccio corretto per poterne parlare. Oggi però mi sono deciso. Mai come in questo periodo è importante affrontare l’argomento cercando di mettere da parte ogni sorta di orientamento e presa di posizione ideologica.
Qui si parla di comunicazione, per cui tutti gli esempi riportati di seguito servono solo a fini di analisi oggettiva in funzione dei concetti espressi.
FAKE IS BETTER THAN REALITY
Perché moltissime persone amano il fake? La prima risposta che mi è venuta in mente è che è molto più facile, meno faticoso, alla portata di tutti. Sull’altare della mediocrità e dell’appiattimento tutto è possibile per chiunque. Non serve “essere studiati”, non serve fare ricerca, non serve investire molto tempo, non serve avere cultura, non serve avere talento, non serve nemmeno essere una brava persona.
Se osserviamo il fake ha il dominio in quasi tutti i campi, settori e comportamenti sociali.
A livello di comunicazione si pensa subito al fenomeno delle fake news ma ricordiamoci che la comunicazione passa da ogni nostra forma espressiva sociale.
Prendiamo l’esempio degli uomini che si fanno le cicatrici finte sulle sopracciglia o sulla testa così da esprimere una vita vissuta, un aspetto da duri. Un colpo di rasoio elettrico e il gioco è fatto. È molto più facile che guadagnarsele “sul campo di battaglia” no? È molto più facile scimmiottare qualcuno che trovare il proprio stile, è più facile percorrere una strada già spianata che crearne una propria. Sui social network poi è ancora più semplice, i margini di modifica della realtà sono quasi infiniti. Il nostro avatar può essere plasmato con filtri instagram o photoshop, può apparire come vogliamo, può dire quello che dal vivo forse non avremmo il coraggio di dire, sentenziare senza un reale confronto, al sicuro dietro un monitor. Comodo no?
Per le aziende è infinitamente più facile ed economico fare greenwashing così da avere un consenso sociale spendibile che adottare una reale politica green. Per un politico è più facile trovare consensi dicendo di volta in volta quello che le persone vogliono sentirsi dire che essere onesti e coerenti. Gli esempi sono davvero moltissimi, sono sicuro che ve ne sono venuti in mente molti altri proprio in questo istante mentre state leggendo.
Quindi se il fake è così semplice, se poggia così saldamente su una delle regole auree del marketing, ovvero che la percezione del prodotto conta più del prodotto, perché non lasciarsi fagocitare da questo metodo comunicativo e utilizzarlo a nostro vantaggio?
Una risposta può essere che questo tipo di comunicazione porta a un impoverimento progressivo del terreno relazionale da cui traiamo nutrimento, del tessuto sociale da cui vorremmo farne un abito per sentirci accettati e protetti. Come paragone pensate a cosa l’inquinamento sta facendo al pianeta dove viviamo, all’aria che respiriamo, all’acqua che beviamo, al cibo che mangiamo. Tutto questo per rendere le nostre vite apparentemente più facili.
Perseguire una comunicazione fake ci renderà inesorabilmente schiavi delle nostre stesse menzogne, del nostro avatar, del nostro apparire diversi da quello che siamo.
Di lavoro mi occupo di marketing e quando faccio questi discorsi a volte vengo visto come una persona che “filosofeggia”, poco pratica insomma. In realtà come marketer sono iper pratico e analizzo i dati oggettivi, sopratutto le proiezioni a medio termine. Comunicare un brand, un prodotto, un servizio in un mondo distorto dove chiunque può dire qualsiasi cosa senza supporto reale, giocando solo sulla percezione, cambia drasticamente le regole del gioco. Molto spesso le PMI vanno in fallimento perché, senza una strategia di marketing corretta, l’unico campo di battaglia che gli rimane per misurarsi con i competitor è il prezzo. Inutile dire che quando si arriva a questo punto il destino dell’imprenditore è già segnato.
Inoltre anche il nostro buyer persona sarà molto più confuso, meno propenso a dedicare tempo a scoprire il nostro prodotto, meno fedele nei nostri confronti. La sua comunicazione sui social nel pre e post vendita sarò molto aggressiva o addirittura offensiva, portandoci un danno di immagine non indifferente.
L’analfabetismo funzionale dilagante, i bias cognitivi, la tendenza a sfogare le frustrazioni sui social, creerà un terreno fertile per la nostra comunicazione? Quando avrai qualcosa da dire, con questi presupposti, come pensi di fare, come credi verrai accolto (tu o il tuo prodotto)?
Basta guardare i commenti presenti sotto un qualsiasi post di fb o instagram per capire che fare marketing efficace sui social oggi, gestire il customer care o fidelizzare un cliente, richiede uno sforzo maggiore che non lascia spazio ne all’improvvisazione ne al fai da te.
La buona notizia è che la comunicazione etica, unita a una solida strategia di marketing, ci permette di accedere a un pascolo sempre verde, facendo diventare il nostro buyer persona un alleato e non un nemico di cui aver paura. Rafforzare non solo la nostra comunicazione ma anche il terreno su cui andremo a comunicare porta risultati tangibili sia nell’immediato che nel medio e lungo periodo. Alcuni pensano che una persona facilmente manipolabile sia un cliente migliore. Peccato che dimenticano che come è manipolabile da noi lo è anche dai nostri competitor e che nuovamente si entrerà in una guerra tra poveri dove le PMI non sono ammesse.
Ha senso concentrarsi solo sulla pianta, il sole e l’acqua senza pensare al terreno?
Una volta creato il terreno ideale sarà possibile usare tutte le strategie che vogliamo. Far “germogliare” un nuovo prodotto sarà semplice così come venderne i frutti.
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